Il pomeriggio del 12 dicembre 1969 esplodeva alla Banca dell’Agricoltura a Milano un ordigno che ferì 87 persone e ne uccise 17. Gli anni Settanta iniziano con qualche settimana di anticipo. Un decennio passato alla Storia come “di piombo”, ma furono anche gli “anni di tritolo” ed in generale dei mille misteri del Bel Paese. Tante le canzoni che hanno contribuito a raccontare la verità, perché Valpreda è innocente, Pinelli è stato assassinato e la strage è di Stato.
1 ANTONIO CATACCHIO
RICORDATE BRAVA GENTE
Antonio Catacchio fece parte del Nuovo Canzoniere Milanese: appassionato di canzoni popolari e di protesta, fu tra gli interpreti de “Il bosco degli alberi”. Prima della sua scomparsa, nel 2011, aveva fatto parte del Coro Ingrato, un progetto che ha all’attivo vari album in cui i coristi reinterpretano le canzoni che hanno fatto la storia delle lotte popolari di ogni epoca. Dopo un’antologia sui brani della Resistenza, incisero “Vento del ’68” in cui compare anche la canzone su Piazza Fontana, proprio di Catacchio.
La sua canzone “Ricordate brava gente”, scritta a ridosso degli argomenti trattati, appare molto utile a distanza di decenni per ripercorrere, nel tempo di una ballata, l’inizio della strategia della tensione. L’autore riesce infatti ad utilizzare lo stile dei cantastorie per raccontare fatti e personaggi, chiarendo sempre la sua visione.
“Ricordate brava gente / di quel mese di dicembre / era nel ’69 / con denunce in ogni dove. / Dopo un lungo autunno caldo / il potere non è saldo / c’è la lotta, c’è il contratto / e succede questo fatto: / alla Banca dell’Agricoltura / scoppia una bomba da far paura!”.
Con ritmo deciso e incalzante l’artista ripercorre i fatti iniziati con l’autunno caldo del ’69. La tragica vicenda dell’attentato di Piazza Fontana non si concluderà con l’esplosione, seguiranno altre sofferenze patite da altri innocenti che allontaneranno per sempre la storia dell’Italia dalla giustizia e dalla verità.
I segugi dello Stato fiutano nella pista anarchica i responsabili e senza fare troppi approfondimenti iniziano a braccarli. “Come sempre, come suole / un colpevole ci vuole / non importa chi egli sia / purché c’entri l’anarchia!”.
Pietro Valpreda verrà subito arrestato e sconterà anni di prigione nonostante la sua innocenza: ecco pronto il mostro da sbattere in prima pagina. “Non è ancora un dì passato / che Valpreda è già arrestato / ma l’avevano già in mente / fin dal giorno precedente / e il Corriere scrive ch’è un pazzo, / anarchico, drogato e pure pregiudicato”.
Le strofe successive raccontano del fermo di Giuseppe Pinelli, attivista anarchico che si recherà autonomamente in Questura su invito degli agenti, una cosa quasi abituale per chi come lui aveva alle spalle una lunga militanza e qualche capatina in Questura faceva parte del gioco.
“Un compagno dell’arrestato / è in questura interrogato / Ha un alibi di ferro / ma lo torchiano lo stesso”. Pino è innocente, ma il fermo prosegue per ore, giorni, tanto da sforare le 48 ore consentite. “Lui è calmo, abituato / e non sembra preoccupato / ma ad un tratto – fatto strano – / vola giù dal quarto piano”.
La notte tra il 15 e il 16 dicembre Milano dovrà piangere un’altra vittima innocente, incappata negli ingranaggi della strategia della tensione e le lacrime sono sempre più amare. “Guida il questore poi dirà / «Quel suicidio è un’autoaccusa». Già!”. La situazione assume tinte sempre più grottesche, le dichiarazioni ufficiali che seguiranno saranno assurde e contraddittorie a tal punto che saranno lo spunto perfetto per altre opere di denuncia altrettanto tragiche e ironiche.
Su cosa avvenne in quella stanza della Questura milanese nessuno conoscerà mai tutta la verità, ciò che è certo è che tutti gli agenti che erano presenti riceveranno promozioni e saranno trasferiti. “Calabresi e i suoi compari / oggi sono commissari / ma se vanno per le strade / voi sapete che gli accade?”. L’informazione di regime continua a criminalizzare gli anarchici ma la verità inizia a trasparire dai muri della città su cui compaiono slogan e frasi per ammonire la cittadinanza sui reali responsabili. “Là, sui muri di Milano, / ci son tante scritte a mano / che gli gridano sul viso / che Pinelli è stato ucciso”.
I versi del brano sanno anche essere duri, come lo era il periodo storico che fece nascere la canzone. L’autore in poche parole riesce infatti a sbriciolare tutte le arringhe e le infamità che il potere vomitò sulla fine di Pinelli. “Se Pinelli si è buttato, / Calabresi allora si è sparato!”. “Non dobbiamo chieder luce / a chi luce non può fare”. Prima di concludere la canzone, accennando all’ormai iconica “Ballata del Pinelli”, Catacchio prosegue la sua invettiva contro “Il processo che vogliamo / quello che bisogna fare / nelle strade e nei quartieri / è il processo popolare…”. L’artista qui dà voce a quel popolo trasversale che per cinquant’anni non ha mai smesso di chiedere giustizia. “Non Valpreda è l’imputato, / noi dobbiamo processar lo Stato!”.
2 NICO E SUONI E RUMORI POPOLARI
BOMBE E FIORI
Nicola Pisu è un cantautore nato in provincia di Cagliari che ha all’attivo tre album ed ha fatto parte del Canzoniere del ’900. Ad accompagnarlo nelle sue esecuzione troviamo i “Suoni e rumori popolari”, musicisti con cui condivide una buona dose d’utopie. “Bombe e fiori” è la sua canzone dedicata all’attentato del 12 dicembre 1969: “La presenza del piombo in Piazza Fontana / il dodici dicembre col freddo di sempre / scaldò l’aria gelida di martire Milano / e il dolore di Roma gli stringeva la mano”.
Anche nelle canzoni è molto difficile che si parli dell’attentato alla Banca dell’Agricoltura senza accennare alla defenestrazione di Pinelli. “Un anarchico sconsolato volò dalla finestra / dal quarto piano della questura di Milano / senza che nessuno riuscisse a impedirlo / «un servitore dello stato», «un malore attivo»”. La strofa si apre con un accenno alle motivazioni del suicidio di Pinelli “sconsolato” emesse da voci ufficiali. Si disse che lo aveva fatto perché la moglie lo tradiva, o che quel gesto provasse la sua colpevolezza, o perché riconoscendo la responsabilità di Valpreda quella sarebbe stata la “fine dell’anarchia”.
Il verso conclusivo fa riferimento alle diverse visioni sulla causa che fece precipitare Pino. Se per la magistratura si trattò di “un malore attivo”, prima e unica volta che un fatto simile venne “accertato”; per la contro-informazione fu invece opera degli agenti presenti in quella stanza durante l’interrogatorio. “Il potere può concedersi il lusso di decidere / se le bombe far brillare o lasciarle scoppiare…”
In queste parole di Nicola Pisu si può scorgere un riferimento a fatti di cronaca meno noti: infatti il 12 dicembre in meno di un’ora sarebbero dovute esplodere cinque bombe tra Roma e Milano. I tre ordigni di Roma feriranno 16 persone e poco distante da Piazza Fontana venne ritrovata una seconda bomba inesplosa. Gli artificieri della polizia, pur non riscontrando pericoli, faranno brillare l’ordigno dopo aver ricevuto ordini precisi. Altri indizi preziosi andranno persi. “…Metterle in mano a chi al potere non vuol decidersi / creare paura perché potere deve aversi / Non era rosso, era nero tutto quello sfasciare / se la bomba avesse imparato a parlare”. Nel brano emerge la matrice nera della strage, i neofascisti coperti, aiutati e incoraggiati da apparati dello Stato costruiranno e innescheranno numerose bombe negli anni a seguire.
In conclusione l’artista espone le conseguenze della strategia della tensione. Anche se non si verificò di fatto un colpo di Stato, la repressione non si era di certo placata e l’opinione pubblica era pronta a darle manforte. “Le carceri accolsero poveri diavoli / il terrore delle bombe dava fiato alle trombe / i moderati erano i buoni, noi altri i coglioni / e gli anni settanta tutti bombe e fiori”.
3 SAMBENE
IL VENTO DELLA MEMORIA
I Sambene sono un gruppo folk marchigiano che vanta un repertorio di proprie canzoni, raccolte nel loro esordio “Sentieri Partigiani. Tra Marche e Memoria”. Pubblicato nel 2018, è un album che già dal titolo chiarisce le coordinate storico-geografiche in cui proietterà l’ascoltatore. Nelle 11 tracce i Sambene fondono le radici della musica popolare con le gesta e i protagonisti locali della Lotta di Liberazione.
“Soffia e fischia il vento della memoria / risuonano nel tempo gli echi di una storia / passi che non camminerete / sogni che mai più sognerete”. “Il vento della memoria” è la penultima traccia e vuole attualizzare la Resistenza unendo la narrazione della fucilazione di civili e partigiani in una frazione di Camerino (MC) con quella delle stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia.
“A Letegge destini spezzati / a Capolapiaggia in fila ammazzati / in piazza Fontana destini spezzati / a piazza Loggia in fila ammazzati”. A Capolapiaggia vennero fucilate 59 persone nell’estate del ’44. Le suadenti voci femminili introduco poi gli attentati dinamitardi di trent’anni dopo. “La mitragliatrice le spalle al muro / s’intrecciano nel vento passato e futuro / muri e sentieri partigiani / le piazze dei nuovi assassini”.
Se il paragone storico può apparire azzardato, si possono però evidenziare delle affinità. Innanzi tutto la band marchigiana vuole sottolineare che i fascisti non siano scomparsi dopo il 25 aprile e che dalla Liberazione non abbiano smesso di uccidere. Altre similitudini tra le rappresaglie dei nazifascisti e le stragi degli anni ’70 possono però essere individuate nei metodi adottati e nelle vittime prescelte. I repubblichini, come la destra eversiva delle bombe “nelle piazze e nelle stazioni”, trucidavano persone inermi. Partigiani catturati, feriti o civili, donne e bambini erano uccisi per rappresaglia durante la Guerra. Dopo trent’anni innescavano ordigni per ferire e uccidere passanti inconsapevoli, da far esplodere una volta che si fossero allontanati.
“Bombe di stato i nuovi fascisti / sorridono e consigliano gli acquisti / non mi vendo la mia speranza / non ha prezzo la mia speranza / la memoria è la mia libertà”. Oltre alle analogie ideologiche e relative alla vigliaccheria delle loro azioni, anche l’impunità accomuna le camicie nere di ieri e di oggi. Dalla mancata “Norimberga italiana” alle sporadiche individuazioni e condanne degli esecutori materiali, per non parlare di quelle dei mandanti, di giustizia le vittime non ne hanno mai conosciuta abbastanza.
En.Ri-ot